giovedì 3 maggio 2012

IL GIARDINO D'ACCIAIO



PIETRO ALAGNA 

faccio mie le parole di Cesare Masetti (http://masettiquadri.altervista.org/), essendo Pietro anche un mio grande amico, cuoco raffinato di certo , e non solo un artista, che mi ha onorato con la sua presenza e quella di Carla in occasione della mia ultima rappresentazione teatrale dello scorso 3 dicembre. A lui e a Carla io e Paola siamo molto legati, ci sono amici e amici, ma pochi sono quelli con la A maiuscola Pietro è uno di questi. 

Cosa dice Cesare di Pietro... 

Pietro Alagna è prima di tutto un grande amico (e questo è per me un grande onore), ma soprattutto è un grande artista anche se lui non si definirebbe mai così. 

Pietro è una delle persone più libere e vere che io abbia conosciuto: la sua libertà nella vita e nelle sue sculture è indomabile. 

A questo unisce una sensibilità ed una capacità unica nello stabilire una connessione sentimentale con chi vive ai margini della società. Per questo fra i suoi amici ci sono “barboni”, nativi americani, matti ed altri sognatori. 

Altri direbbero che è matto da legare, forse è vero, ma credo che nessuno riuscirà mai a legarlo. 

Del resto, chi altro può vantarsi di aver cucinato le tagliatelle con il ragù ai nativi americani in una riserva degli Stati Uniti dopo averle “tirate” con il matterello (usando ovviamente la carne di bisonte). Pietro, invece, ha saputo usare anche la sua vera professione, il cuoco, per creare un legame fra mondi così apparentemente lontani. 

Come altri amici artisti ospitati in questo spazio non accetta alcuna mediazione con il mercato e preferisce essere libero di esprimersi senza costrizioni esterne; lo ha fatto nella sua professione così come nelle sue opere. 

Quello di cui però è apparentemente meno consapevole è la capacità che ha di trasformare i materiali in sculture in grado di trasmettere tale libertà. 

Di artisti, anche di fama (e da grana), che assemblano rottami e “ruschi”* vari ce ne sono tanti, ma appunto assemblano materiali. 

Pietro libera la memoria delle cose, la fatica degli uomini che piega e consuma gli strumenti di lavoro, il ricordo e la consuetudine degli oggetti di uso quotidiano. 

I suoi non sono “rottami” ma prodotti trasformati dall’uomo o dalla natura, hanno tutti, appunto, una loro memoria. 

Su di loro Pietro agisce come un vero scultore: liberandoli. 

Così anche gli strumenti del suo lavoro, i grandi scolapasta d’alluminio, i lunghi mestoli, i forchettoni si “ribaltano” e senza perdere la loro “forma” diventando fiori e cactus, così come lo schienale di legno dei vecchi vagoni ferroviari e le bottiglie di vetro piegate dal calore del forno servono a raccontare le sue radici e la storia del padre emigrato dalla Calabria. 

I suoi lavori meriterebbero davvero maggior fama e le sue idee sarebbero una buona medicina per questo mondo. 

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